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C’era una volta una piccola squadra di nome Leicester. O se preferite, Cenerentola. Il brutto anatroccolo, il Vicenza britannico, insomma, proprio quella squadra che o la ami perché il tuo trisavolo la tifava, o perché è della città che ti ha visto crescere, o perché tuo padre è il presidente.

C’erano una volta i passaggi continui tra Division 1 (ex Premier League) e Division 2 (la nostra serie B), finendo la maggior parte delle volte nella lega minore, e lottando per la salvezza ogni anno successivo a quello dell’agognata promozione.

C’era una volta una squadra, come tante altre. Beh, non proprio come tutte, in realtà. Non come il Manchester, il Liverpool, il Tottenham, il Chelsea. Loro sono le squadre da battere, quelle che si vedono in Europa.

Ma sapete, lo sport può riservare tante sorprese. Può succedere che quella Cenerentola voglia proprio indossare il vestito da sera migliore in quel campionato, che non voglia farsi sfilare la scarpetta per il ballo che hanno sempre ballato gli altri. Vuole incontrare il principe, farlo suo. E perché no? In fondo è di nuovo in premier quest’anno, si parte tutti a pari punti, mica lo scudetto è assegnato?

E quindi, Cenerentola lotta. Giornata dopo giornata, partita dopo partita, macina punti sotto lo stupore di tutte le principesse che avevano sempre attorniato il principe in sua assenza. E mentre loro guardano sbigottite, lei non si perde d’animo e si fa avanti sgomitando, lasciandosele alle spalle. Le principesse cercano di raggiungerla, ma ormai è troppo tardi: mentre si perdevano in chiacchiere e congetture, l’instancabile lavoratrice è arrivata al traguardo. Il tanto agognato principe, o meglio, lo scudetto, è suo.

Ed è festa grande, non solo per la squadra, per i tifosi, per Ranieri e il suo successo dopo il primo anno in panchina: ne parlano tutti. Oggi, anche qui in Italia, tutte le prime pagine sono per loro, per il sogno divenuto realtà, per la piccola che è diventata grande.

Nessuno, però, pensa a quanto questo evento, questa festa, questo mondo così magico e sorprendente sia, oggi più che mai, lontano da noi. Sì, perché quello di cui stiamo parlando qui è sport.
In Italia, il calcio è interessi, business decennali, potere. Soldi, tanti. E tifosi che si fanno abbindolare.

Me compresa. Seguiamo lo spettacolo della serie A sull’onda della passione comune, dell’argomento  da condividere, del semplice amore per una maglia e per uno sport che è per noi storia. Eppure, quello che vediamo è solo il risultato di un sistema. Che attanaglia squadre, società, ultras, sponsor, arbitri, scommesse. Tutto tristemente, drammaticamente marcio.

Quest’anno noi napoletani ci eravamo illusi. Dopo campionati passati a inseguire la vetta senza alcuna speranza, stavolta il destino sembrava esserci favorevole: il nuovo allenatore serio e abituato a lottare con caparbietà, il supercampione pronto a sfornare valanghe di gol, la squadra compatta, ritornare a giocare con un portiere (!) e non scendere in campo sempre col solito colabrodo al posto della difesa (!) ci ha fatto sentire grandi e ci ha fatto salire là, dove non arrivavamo da tempo. Eravamo campioni d’inverno, e come i carisssssimi commentatori ricordavano, a vedere le ultime statistiche chi è arrivato là ci è rimasto fino alla fine.

E chi c’era, tra i papabili ad ostacolarci il cammino? con la Roma e l’amore sfumato col ct francese, una Inter ridicola in tutti i reparti e senza conferme rispetto alle promesse dell’anno precedente (il titolo di capocannoniere di Icardi -tra l’altro ottenuto a soli 22 gol, traguardo raggiunto da Higuain mesi fa – è un lontano ricordo), la Fiorentina promettente ma non abbastanza (il Milan non lo menziono proprio, tutti d’accordo vero?)…Beh, è praticamente fatta.
Ma attenzione, diceva qualcuno (tra cui, devo dirlo, io, fin dall’inizio): ricordate la Juventus? Ma chi? Ma dove? Ma quella è una squadra finita…Ma chi è sto Dybala…Ma Allegri nun è buon…Ma non c’è gioco…Quest’anno stanno inguaiati…

Ragà, attenti alla Juve. Attenti.

Io ve lo dicevo…Ma  voi non ci credevate.

E ora, eccoci qua. A a parlare di un’altra storia, ben diversa da quella in cui tutti speravamo, forse non solo a Napoli. Perché il monopolio stanca.
Non chi lo detiene, però.

Certo, a giocare giocano, la squadra c’era. Ma com’è possibile che la maggior parte di voi, che diceva che quest’anno la Juve era una squadra finita, ora sono gli stessi che dicono ‘vabbè ma di che stiamo parlando…loro in panchina tengono QUADRADO…noi chi teniamo…El Kaddouri…’ ‘sì ma sono comunque forti…’ ‘sì ma noi abbiamo perso tutti i punti fondamentali’?
Va bene, in parte posso darvi pure ragione. Vi dò ragione, va bene?

Ma il problema è che non è tutto.

Il problema è che la Juventus è una Lobby. Fatta, proprio come il tanto amato giuoco calcio, di interessi, business decennali, potere. E ancora, tanti, tanti, tanti soldi.

Certo, gli errori arbitrali ci sono per tutti, e ci sono stati anche a favore del Napoli. Ma la cadenza quasi settimanale con cui gli arbitri non hanno visto, non hanno fischiato, non hanno sanzionato o non lo hanno fatto a sufficienza rispetto ad altri casi simili, non potete negarlo, è evidente e superiore alla media:

Cari arbitri, che siete sponsorizzati dalla Bassetti, il cui titolare della maggioranza del capitale è Gigi Buffon (56,26%) e che lavorate per la Figc, a sua volta sponsorizzata dalla Fiat, che credo nemmeno devo dire a chi fa storicamente capo, tutto questo, secondo voi, è un caso? Secondo voi io riesco a credere al fatto che la juve dai -17 punti dalla vetta sia arrivata a vincere lo scudetto un mese prima della fine del campionato solo perché è forte e perché tiene Cuadrado in panchina?

O magari potrei pensare che qualche aiuto di troppo c’è stato? che, per quanto una squadra possa essere forte, cinque scudetti dopo quel curriculum di calcio scommesse che ogni tanto si fa ricordare non si può arrivare a tanto senza giudici che non giudicano, senza pay tv servili che non commentano e non mostrano a sufficienza quello che devono, dimostrando un servilismo becero e vergognoso per quanto evidente, senza il calcioscommesse che sa già dove deve puntare e che magari (sto osando) ci ha guadagnato anche più del dovuto scommettendo al momento opportuno su una squadra che dalla zona intertoto in quattro mesi ha vinto lo scudetto?

Io non dico che magari non sarebbe successo lo stesso. Dico solo che avrei voluto vedere come sarebbe stato, senza tutto questo.

Ma forse sono malpensante. Forse sono, come dicono loro, invidiosa, perché non ho vinto l’ennesimo scudetto, come dicono loro, sul campo.

Ma se il campo è una banca, un’azienda, un salotto di potere dove tutto è già deciso, dove i valori dello sport sono dimenticati, dove i dissidenti sono messi alla gogna, allora penso che ve li lascio, questo e tutti gli altri.

Lo sport è altro. Io, come tanti, ho il problema di amarlo, e di amare anche il calcio, tra i vari. Purtroppo, pare che le due passioni siano inconciliabili.
Perché in questa Italietta, fatta di finto intrattenimento e di squallidi giochi di potere, nemmeno una semplice passione è più degna di essere vissuta.